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giovedì 4 aprile 2019

RECENSIONE | STORIA DI UNA CAPINERA di Giovanni Verga


Titolo: Storia di una capinera 
 
 Autore: Giovanni Verga
 
Genere: Classici
 
 Editore: Crescere
 
 Pagine: 128
 
Anno edizione: 2013

Come può una persona sottrarsi ad un destino già scritto? Ma esiste davvero questo "destino"? Oppure è semplicemente una forma di discolpa inventata dall'uomo per dare un senso alle avversità?
Queste e tante altre domande hanno attraversato la mia mente, dopo aver letto la scorsa estate Storia di una Capinera di Giovanni Verga, il romanzo più struggente che abbia mai letto.

Un incipit, mille "lagrime"

"Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiava in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime. Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera. Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bambini che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili. La povera capinera cercava rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva rimproverarli neanche col suo dolore, poiché tentava di beccare tristamente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle. Dopo due giorni chinò la testa sotto l'ala e l'indomani fu trovata stecchita nella sua prigione. Era morta, povera capinera! Eppure il suo scodellino era pieno. Era morta perché in quel corpicino c'era qualche cosa che non si nutriva soltanto di miglio, e che soffriva qualche cosa oltre la fame e la sete.
Allorché la madre dei due bimbi, innocenti e spietati carnefici del povero uccelletto, mi narrò la storia di un'infelice di cui le mura del chiostro avevano imprigionato il corpo, e la superstizione e l'amore avevano torturato lo spirito: una di quelle intime storie, che passano inosservate tutti i giorni, storia di un cuore tenero, timido, che aveva amato e pianto e pregato senza osare di far scorgere le sue lagrime o di far sentire la sua preghiera, che infine si era chiuso nel suo dolore ed era morto; io pensai alla povera capinera che guardava il cielo attraverso le gretole della sua prigione, che non cantava, che beccava tristamente il suo miglio, che aveva piegato la testolina sotto l'ala ed era morta.
Ecco perché l'ho intitolata: Storia di una capinera."

La vita di Maria ha un destino ben preciso, piuttosto chiaro al lettore già dal meraviglioso incipit. Verga decide di farci intuire sin da subito quello che accadrà, utilizzando una metafora che incarna la sorte della sventurata protagonista. Nonostante questo, ho sperato fino all'ultimo che la dolce capinera volasse via dalla sua gabbia infernale.

Il romanzo è scritto in forma epistolare ed è ambientato in Sicilia nel 1800. Chi scrive è la stessa Maria, che inizia a raccontare le sue vicende e i suoi turbamenti all'amica Marianna attraverso numerose lettere. La fitta corrispondenza ha inizio nel settembre 1854, quando per sfuggire ad un'epidemia di colera, la giovane novizia si reca per alcuni mesi nella casa in campagna a Monte Ilice con la sua famiglia, composta dal padre, la matrigna, la sorellastra Giuditta e il fratellastro Gigi.

Per Maria la nuova sistemazione in campagna equivale all'inizio di una nuova vita. Abituata alle tetre pareti del convento, al silenzio e alle privazioni, le sembra di sognare nell'osservare gli alberi rigogliosi, nell'udire il canto degli "uccelletti", nel sentire il calore del sole sulla pelle, nel piacere infantile di inseguire una farfalla, nella libertà di passeggiare quanto e dove più le piace. Ogni piccola cosa per lei risulta incredibilmente bella e degna di riflessioni profonde. L'euforia si impossessa del suo animo delicato, trasportandola in un mondo fatato, offuscato unicamente dal pensiero di dover tornare a Catania nell'angusto convento, quando l'emergenza sarà passata. Nonostante la sua famiglia non sia particolarmente affettuosa con lei, Maria gioisce per ogni gesto gentile nei suoi riguardi e ringrazia Dio per averle concesso la possibilità di ricevere amore dalle persone a lei care.

"La mattina, prima di aprire gli occhi, allorchè mi risveglia il cinguettio degli uccelletti che si disputano le miche di pane che io lascio apposta per loro sul davanzale della finestra, il mio primo pensiero si è la contentezza di trovarmi in mezzo alla mia famiglia, accanto al mio babbo, al mio fratellino, a Guditta, che mi abbracceranno e mi daranno i buon giorno; che io non avrò uffizi da recitare, nè meditazioni da fare, nè silenzi da serbare; che io aprirò la mia finestra, appena salterò giù dal letto, onde fare entrare quell'aria imbalsamata, quel raggio di sole, quello stormire di fronde, quel canto di uccelli; che io uscirò sola, quando vorrò, a correre e saltellare ove meglio mi piacerà, che non incontrerò volti austeri, né tonache nere, né corridoi oscuri... Marianna! Ti confesso all'orecchio un gran peccataccio! ... Se mi facessero una bella vestina color caffè! .. sensa crinolina, veh! Oh! Questo poi no! ... Ma una vestina che non fosse nera, con la quale potessi correre e scavalcare i muricciuoli, che non rammentasse ad ogni momento, come questa brutta tonaca, che laggiù a Catania, quando sarà finito il colera, mi attende il convento! ..."

La vita in campagna trascorre serenamente, anche grazie alla piacevole conoscenza dei vicini di casa, i Valentini. Tra di loro ci sono Annetta e suo fratello Nino, un ragazzo gentile e premuroso. Pian piano Maria si innamorerà di Nino e inizierà a soffrire di atroci sensi di colpa. Al solo pensiero di amare un uomo, si sente una peccatrice, perchè sa che il suo dovere è quello di tornare in convento e diventare una monaca di clausura. La sua umile vita consisterà nell'assoluta devozione verso un unico Amore: quello per il Signore. C'è da precisare che Maria non aveva scelto la sua condizione per vocazione, ma era stata costretta al convento all'età di 7 anni, in seguito alla morte della madre. All'epoca era una consuetudine aberrante quella di relegare le donne alla vita monacale per motivi di indigenza economica famigliare.

Prigioni

Le parole di Maria rispecchiano esattamente i suoi stati d'animo. Dapprima sono leggere, piene di speranza e di amore per la vita. Poi assumono la forma della paura e della punizione. Infine, somigliano ad un soffocato grido di dolore, sempre più flebile e disperato.

Il romanzo è un flusso di coscienza ininterrotto, che esprime con assoluta profondità lo smarrimanto della protagonista. Il senso di prigionia che la opprime notte e giorno è palpabile in ogni sua parola. Confesso che ho desiderato più volte di poter entrare nel libro e tenderle una mano, aiutandola a fuggire prima di tutto dal convento e poi dalle sue ossessioni.

E' possibile pensare che Verga abbia voluto diffondere un messaggio morale e che abbia reso il romanzo particolarmente drammatico ed estremo perchè influenzato dalla corrente romantica dell'epoca. Quello che turba e che atterrisce è pensare che ancora oggi nel mondo esistono orribili forme di costrizione sulle donne, che non sono ancora state soppresse. 
 
Questo romanzo breve ma estremamente intenso mi ha conivolta fino all'inverosimile. La sofferenza di Maria era anche la mia, pagina dopo pagina, "lagrima dopo lagrima". 
 
Leggere Storia di una capinera è stato straziante. Nonostante questo, lo rileggerei altre mille volte.

VALUTAZIONE ⭐⭐⭐⭐⭐

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